Unitre, Università delle Tre Età - Sondrio
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Sintesi della lezione tenuta per Unitre dal dott. Giampietro Scherini il 4 febbario 2009
sul tema:
“Compostela Trek: “un Camino dentro noi stessi”

Questa volta il viaggio lo sceglie mia moglie dopo numerose volte in cui tale scelta è stata effettuate da me, magari senza troppi consulti….. Questa volta, Mara, senza la minima esitazione, mi propone quasi a “bruciapelo”, per l’estate appena trascorsa, il Camino de Santiago di Compostela. Ne avevo già sentito parlare, ma non mi ero mai soffermato su questo “viaggio”,più di tanto. Dopo questa sollecitazione la mia curiosità innata ed il mio carattere mi spinsero in pochi giorni a cercare di sapere il più possibile su questa meta. Non ci volle molto perché iniziassi a valutare con “grande rispetto” questa proposta, anche se così diversa e lontana dalla mia mentalità alpinistica, ma profondamente affascinante dal punto di vista storico, culturale e soprattutto religioso.
Una delle uniche perplessità nacque dal fatto di scoprire che l’ itinerario era straordinariamente frequentato, dando l’impressione di essere divenuto “di moda” ,ma non mi pareva il caso di fare troppo lo “snob”, alla ricerca di ciò che oggi non c’è più, ossia delle mete prive del turismo di massa ( o quasi)! Come si suol dire: detto fatto. “Quest’anno faremo il Compostela Trek” dissi approvando la proposta. Fingendo di non essere minimamente preoccupato mi trovo, ad agosto 2008 a preparare lo zaino, alla vigilia della partenza, con l’ unica certezza che tutto ciò che vi metterò dentro, dovrò portarlo sulle spalle per l’intera durata del viaggio, senza alcun aiuto esterno.
S comincia allora a meditare su cosa portare nello zaino e su cosa lasciare a casa nell’armadio; a pesare i singoli capi d’abbigliamento ben sapendo che camminare con lo zaino pesante non è mai piacevole e fa aumentare a dismisura la fatica. Dopo tante spedizioni in ogni parte del mondo, oggi mi rendo conto che con il passare degli anni sto impigrendo e se posso la “fatica non indispensabile” la scanso volentieri. Peso il goretex e lo scarto optando per un più leggero ma meno efficace simil Kway! Per fortuna le magliette intime della Mico di Brescia sono oltre che pratiche molto leggere! Il cellulare, lo porto sicuramente, come si può farne a meno! La macchina fotografica con tanto di caricabatteria, non la facevo così pesante, fortunatamente le memorie non pesano nulla! Tutto è pronto e ,messo nello zaino, supera ampiamente i 10 kg. Pensavo di essere in grado di fare meglio: mi sento un imbranato alle prime armi. Svuoto e ci riprovo, ma mi accorgo che non riesco a lasciare a casa nulla di quanto preparato; che alla prova dei fatti risulterà in buona parte se non inutile, non necessario.
Guardo Mara che mi pare più brava di me: il suo zaino è più leggero, ma sostiene che lei pure pesa meno di me e assai meno! Finalmente si parte e queste amenità vengono lasciate alle spalle.
Arrivato a Pamplona, con un piano voli contorto, faccio il possibile per iniziare subito a camminare in primis per non perdere tempo prezioso e anche per soddisfare la mia curiosità di capire perché questo itinerario richiama così tanta gente ed è divenuto così famoso in questi anni. La prima giornata è per me un secchiello d’acqua gelata in pieno viso, mi pare di non aver mai camminato nella mia vita e oggettivamente fatico a percorrere i primi 30 km. Ma com’è che andavo sui rifugi della Val Masino come una “saetta” ed il giorno dopo ero sulle vie alpinistiche più dure senza fare una piega. Gli anni che passano mi sembrano una scusa oggettivamente un poco forzata . Sicuramente debbo aggiungere che sono diventato anche più pigro sia di testa che di fisico. Forse comincia a non piacermi più sentire il sapore salato del sudore che scende dalla fronte ed i muscoli delle gambe che fanno male. Che dire poi dei piedi doloranti ( e ciò è nulla rispetto a quanto mi capiterà nelle giornate successive, ma questo non lo potevo ancora sapere). Vedo le persone che viaggiano con me che camminano molto spedite: nulla da dire, un buon Gruppo. Forse questa volta sarò io la zavorra: c’è sempre una prima volta nella vita. Ma a me fondamentalmente importa qualche cosa della prestazione atletica, di essere primo o ultimo? Se non ricordo male la mia carriera da sci alpinista agonista l’ho conclusa anni fa e oggi ritengo di non voler o dover più dimostrare nulla a nessuno, salvo che a me stesso. Mi chiedo altresì se in questo contesto ha senso parlare solo di chilometri, di ore, di dislivelli o sia forse meglio cercare qualcos’altro che ci sta spingendo a camminare, qui in un ambiente interessante ma onestamente ne ho visti anche di migliori sulle Alpi, nella mia Valtellina o in altre parti del mondo. Appurato che non sto camminando per competere con nessuno o per dimostrare qualcosa a qualcuno o neppure per “raccontarlo” ( cosa tutt’altro che remota nell’ambiente alpinistico) ma allora perché sono qui a camminare? Qual è la molla che mi spinge e perché ci sono venuto, a fare fatica come si dice “gratis”? Magari per dare ragione alla scelta di mia moglie ( ogni tanto il viaggio deve sceglierlo pure Lei con buona pace per la famiglia), o perché è di “moda” in questo momento ( rientrati in Italia scopriremo poi quanti dei nostri amici ci sono stati o sono intenzionati a partire) o per quali altre ragioni recondite che non riesco bene ad inquadrare? Fatto sta che sono qui a camminare con uno zaino sulle spalle seguendo delle conchiglie gialle o delle frecce dipinte.
Meglio smetterla di cercarne le motivazioni: mi sento quasi un Diogene senza lanterna. La cosa che mi incuriosisce e nel contempo mi fa profondo piacere è vedere tantissimi giovani, donne in prevalenza, camminare sorridenti. Molti attrezzati in maniera impeccabile altri “affardellate” alla buona, taluni con passo deciso e spedito, altri con andatura incerta e talvolta quasi sofferente causa il mal di piedi che colpisce molti. Sarà poco romantico e sicuramente non intellettualmente rilevante ma la questione piedi è una di quelle che su questo percorso rappresenta per molti ( sottoscritto compreso) una vera tortura.
Complice la temperatura, il fondo molto spesso sassoso ed i numerosi chilometri di pianura. la questione vesciche tiene banco in molti dei discorsi tra i partecipanti; per non parlare poi dei rimedi e dei piccoli interventi per lenire il dolore, praticati a fine tappa negli ostelli di pernottamento.
Personalmente avevo sottovalutato il problema, con il mio curriculum alpinistico e trekkinistico, con la molteplicità di scarponi e scarponcini da cui ho potuto scegliere quelli che ho portato, pensavo di non soffrirne. Nulla di più errato! Durante il Camino osservo con interesse, nei paesi attraversati, le costruzioni che esternamente sono state lasciate come realizzate nel medioevo: grandi sassi a vista, facciate sobrie con finestre piccole. Mi pare di fare un tuffo nella storia, quando i pellegrini (quelli veri) percorrevano questa via alla volta di Santiago coperti da una tunica e con in mano il bastone ed al collo una piccola bisaccia in cui avevano le loro poche e povere cose. Noi più fortunatamente oggi possiamo anche fermarci a bere o a mangiare qualche cosa in uno dei tanti posti creati sull’onda del numero sempre crescente dei nuovi pellegrini. Alle soste, assaporo con gusto i panini accompagnati da una bibita fresca! L’acqua sempre buona e fresca che si trova quasi ovunque sul percorso va bene, ma mi rendo conto che alcuni vizi sono difficili da togliere e vedo che sono sempre in buona compagnia degli altri del Gruppo. Mara ogni tanto mi esorta a fare un “fioretto” rinunciando ad una bibita gassata e bere la buona acqua delle fontane; qualche volta lo rispetto altre meno. Come dicevo, l’acqua non manca mai ed obiettivamente è gradevole e fresca: non è quindi necessario comperare nulla da bere nelle tappe, lo si fa solo per golosità! Dopo le prime quattro tappe a piedi optiamo per compiere un unico spostamento con i mezzi pubblici , fermandoci a visitare le splendide cittadine di Burgos e Leon. Decidiamo di riprendere a camminare a Sarrìa ed in cinque tappe di percorrere gli ultimi centoventi chilometri che ci separano da Santiago a piedi.
Da anni, essendo in numero veramente esiguo coloro che percorrono l’intero Camino ( lungo quasi 900 km ) il valore del pellegrinaggio viene “riconosciuto” a chi compie almeno gli ultimi 100 km a piedi o 200 in bicicletta. Pertanto solo a costoro verrà rilasciata la “Compostela”, documento che attesta l’avvenuto pellegrinaggio.
Senza entrare nel merito del valore o meno che ciascuno vorrà dare a tale riconoscimento cartaceo, quasi l’intero Gruppo sceglie di percorrere questo tratto finale continuativo che ci costringe a saltare le tappe centrali del Camino. Purtroppo il tempo di cui disponiamo è limitato e la scelta è necessaria. In cinque del Gruppo manifestano invece la volontà di percorrere le tappe centrali del percorso ritenendole più significative. Nessun problema, in comune accordo a questo punto ci divideremo: cinque percorreranno le tappe centrali e i restanti undici quelle finali. Ci ricongiungeremo tutti assieme a Santiago alla conclusione dell’esperienza. Mi sono anche interrogato sul perché di questa regola degli ultimi cento chilometri ed in fondo il ragionamento tutto sommato mi vede d’accordo. Probabilmente si è voluto, prima dell’arrivo alla Cattedrale di Santiago, invogliare le persone ad avere un periodo di almeno 4 o 5 giornate di “stacco” con la quotidianità, attraverso il cammino. Oggettivamente anche noi abbiamo fatto un ragionamento di questo genere ed abbiamo scelto si percorrere la parte finale senza discontinuità. Oltretutto questo ci permette di non dovere più occuparci, in queste giornate, di trasporti e trasferimenti che nei periodi di maggiore afflusso sono realmente problematici ed oggettivamente distraggono ed impegnano parecchio. La preoccupazione di trovare un posto su un treno o su un bus prevale sul piacere e sulla tranquillità del muoversi a piedi sul Camino in piena autonomia e libertà.
Debbo dire che effettivamente in questa parte conclusiva comincio a rilassarmi e a provare gusto nel camminare fine a se stesso. Mi rendo conto che, pur faticando e con i piedi doloranti, cammino come mai avevo fatto prima nella vita. Non sto cercando di “battere un record”, non sto combattendo per “vincere una gara” non sto tentando di “raggiungere una vetta”. Cammino per il mero gusto di camminare, nel contempo penso a me stesso, alla mia vita, al mio passato ed al mio futuro. Penso alle persone care che ho vicino e a quelle che non ci sono più. Penso agli amici vecchi e nuovi. Il mio cervello è interamente impegnato in questi pensieri senza essere distolto da come affrontare quel certo passaggio in parete o quel tratto di ghiaccio impervio; qui non ci sono assolutamente problemi dal punto di vista tecnico. Il camminare diventa strumento per scavare dentro di se per interrogarsi, non è quindi fine di o per qualche cosa. Durante la giornata, talvolta si sta assieme e si parla, altre volte si sta soli con se stessi. Capita anche di parlare con chi si incontra ma tutto sommato è il silenzio che prevale. Lo stesso vale anche per il rapporto con mia moglie, qualche volta siamo assieme e parliamo, altre ognuno si muove per conto suo. Anche se in molti parti del percorso si “ritorna alla civiltà” passando ad esempio a fianco di strade trafficate, di capannoni industriali o di altre attività questo non muta la bellezza globale del percorso che si snoda prevalentemente in mezzo alla natura. Un po’ per chiudere il Gruppo ma anche perché i miei compagni di viaggio sono dei buoni camminatori, mi trovo sovente ad essere il “fanalino di coda”. Questo è per me assolutamente irrilevante: io che indole mal sopportavo di avere avanti qualcuno durante le uscite in montagna! Non ci provo neppure a fare un resoconto delle tappe: non ne farei giustizia e rischierei di scrivere cose banali, più di quanto ho già fatto sin qui. Con l’avvicinarsi di Santiago mi viene sempre più spontaneo definirmi pellegrino e non camminatore o come oggi di moda Trekkinista. Le notti trascorse nei cameroni dei Conventi, i bagni spartani, la comunanza con tante persone che sono qui con il nostro stesso spirito, le cene dignitosissime ma mai “sopra” le righe, i lunghi momenti di riposo ( dettati anche dalla stanchezza) che iniziano a orari inusuali alla sera, le levatacce mattutine, resteranno indelebilmente scolpite nella mia mente.
Anche se le distanze percorse sembrerebbero non coincidere con quelle indicate dalle guide, arriviamo alle porte di Santiago quasi non accorgendoci dell’oggettiva bruttura della periferia di questa splendida cittadina. Ecco finalmente sullo sfondo la Cattedrale che nel suo rigore medioevale ci fa brillare gli occhi.
A questo punto ho smesso di farmi domande, vivo l’esperienza alla giornata e una lacrima d’emozione mista a gioia, mi solca il viso quando entro in questa grandiosa cattedrale. Mi pare di rivivere le più belle ed emozionanti sensazioni che ho avuto la fortuna di provare in montagna, quando si giungeva sull’agognata vetta. Qui a Santiago, l’emozione è accompagnata da una maggior pace interiore che mai in montagna avevo provato. Non vado oltre, con questo scritto ho provato a descrivere questo viaggio- pellegrinaggio: mi si dia atto dello sforzo compiuto. Sul risultato non sta a me giudicare. ma spero che unitamente alle foto possa incuriosire ulteriormente il lettore su quest’ avventura che ripeto non è sportiva ( anche se è buona norma non sottovalutarla) ma da considerarsi un momento di riflessione interiore, in cui il cammino ne è il mezzo. Non vi era forse neppure la necessità di questo, in considerazione della popolarità di cui gode questi anni ultimi anni il “Camino di Santiago”.
A chi era con me in quest’occasione, un caro pensiero e l’augurio ( che faccio anche a me stesso e a Mara) di tante esperienze come questa.

Giampietro Scherini


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